Alba imparò a mentire e a dissimulare. Col pretesto di studiare di notte, lasciò la stanza che spartiva con sua madre dalla morte della nonna e si sistemò in una camera del primo piano che dava sul giardino, per poter aprire la finestra a Miguel e guidarlo, in punta di piedi attraverso la casa addormentata, fino alla tana incantata. Ma non stavano insieme solo di notte. L’impazienza dell’amore era talvolta così intollerabile, che Miguel si arrischiava a entrare di giorno, strisciando fra i cespugli, come un ladro, fino alla porta della cantina, dove lo aspettava Alba col cuore in subbuglio. Si abbracciavano con la disperazione di un addio e sgattaiolavano nel loro rifugio soffocati dalla complicità. Per la prima volta nella sua vita, Alba sentì il bisogno di essere bella e rimpianse che nessuna delle splendide donne della sua famiglia le avesse lasciato in eredità i suoi attributi, e l’unica che l’aveva fatto la bella Rosa, le aveva dato solo una sfumatura d’alga marina ai suoi capelli, che, se non era accompagnata da tutto il resto, sembrava piuttosto un errore del parrucchiere. Quando Miguel indovinò la sua inquietudine, la portò per mano fino al grande specchio veneziano che ornava un angolo della camera segreta, tolse la polvere dal vetro incrinato e poi accese tutte le candele che aveva e gliele mise intorno. Lei si rimirò nei mille frammenti dello specchio. La sua pelle, illuminata dalle candele, aveva il colore irreale delle figure di cera. Miguel cominciò ad accarezzarla e lei vide trasformarsi il suo volto nel caleidoscopio dello specchio e convenne infine che lei era la più bella dell’universo, perché aveva potuto vedersi con gli occhi con cui la vedeva Miguel.
Isabel Allende, La casa degli spiriti
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